L’esperto del settore energetico Angelo Era, partner di Deloitte, spiega quali sono le sfide per rendere l’idrogeno un protagonista della svolta Green annunciata dall’Unione Europea. Con adeguati investimenti in R&S l’idrogeno green potrebbe diventare sostenibile sia per l’ambiente sia dal punto di vista dei costi, divenendo un asset strategico per raggiungere l’obiettivo delle zero emissioni entro il 2050.
È indicato tra le priorità di investimento del Next Gen Eu e la Commissione Europea di Ursula Von Der Leyen lo definisce come un driver strategico per stimolare la crescita economica, creare posti di lavoro e consolidare la leadership globale dell’UE. L’idrogeno green è una delle grandi novità del settore energetico di cui si sente parlare sempre più spesso. Oltre all’Unione Europea, anche singoli Stati e numerose imprese stanno investendo molte risorse in questo ambito. Ma la strada è ancora lunga e ci sono numerose sfide da superare se si vogliono centrare gli ambiziosi obiettivi fissati dall’Ue. Per capire quali abbiamo parlato con Angelo Era, Energy, Resources & Industrials Industry Leader di Deloitte Italia e grande esperto del settore energetico.
Perché si parla sempre più spesso di idrogeno e perché c’è una attenzione crescente su questo tema?
«Il riscaldamento globale e le emissioni di gas serra sono fenomeni che devono essere arginati nel minor tempo possibile. In questa direzione si è mossa in modo deciso l’Unione Europea e, analizzando le sue prime dichiarazioni, lo farà anche il neonato Governo Draghi. Dal momento che oltre il 70% delle emissioni globali è causato dal consumo di energia, sarà fondamentale accelerare la transizione energetica in ottica green. In questo contesto giocherà un ruolo importante l’idrogeno, vettore energetico flessibile e potenzialmente ad impatto ambientale zero. In particolare, se prodotto senza immettere CO2 in atmosfera, l’idrogeno sarà fondamentale laddove l’elettrificazione non rappresenta un’opzione efficace ed efficiente, diventando una soluzione complementare alle altre forme di energia rinnovabile».
Quali sono le principali sfide per i Paesi che vogliono integrarlo nei loro piani energetici?
«Le politiche di sviluppo dell’idrogeno devono rispondere a due quesiti fondamentali. Il primo è collegato alla modalità di produzione. L’idrogeno può essere generato in modalità 100% “green” tramite elettrolisi che utilizza energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili, sole e vento in particolare. Questa si contrappone all’opzione “blu”, che prevede l’applicazione di soluzioni di cattura e stoccaggio del carbonio ai tradizionali processi produttivi basati su combustibili fossili quali gas naturale, riducendo le emissioni fino al 90%. Se consideriamo il costo dell’idrogeno blu in ottica “net zero”, prendendo in considerazione sia i costi per la cattura della CO2, comunque immessa in atmosfera, sia la compensazione dell’effetto serra comportato delle fughe di metano durante l’estrazione e trasporto del gas, nostre recenti analisi portano a valutare un costo per l’idrogeno da gas naturale superiore a 3 euro al Kg per un Paese come l’Italia, che ha prezzi del gas relativamente alti. Con queste assunzioni l’idrogeno verde sarebbe oggi competitivo con quello blu con un costo dell’energia fotovoltaica intorno ai 30 euro al megawattora».
A fronte di queste complessità tecniche, in che tempi si potrebbe arrivare ad avere un idrogeno sostenibile sia dal punto di vista ambientale, sia dal punto di vista dei costi?
«Sebbene valori così bassi dell’energia elettrica da fonte rinnovabile non siano oggi ancora disponibili in Europa ed in Italia, si prevede il raggiungimento della competitività economica intorno al 2030. Guardando al 2050, considerando economie di scala e di apprendimento, il costo degli elettrolizzatori è destinato a ridursi considerevolmente, insieme alla riduzione dei costi dell’energia rinnovabile, questo porterà l’elettrolisi dell’acqua a diventare l’alternativa più economica per la produzione di idrogeno. D’altro canto la produzione di idrogeno blu da gas naturale dovrebbe prevedere investimenti ed infrastrutture di cattura della Co2, il trasporto e lo stoccaggio. Questi investimenti, anche tenendo in considerazione i recenti annunci, non prevediamo possano essere concluse prima della seconda metà del decennio. Gli impianti di produzione di idrogeno blu, una volta realizzati dovrebbero restare operativi per almeno 20-30 anni, periodo nel quale sarebbero meno convenienti rispetto ad altre forme, generando in tal modo stranded cost rilevanti».
Quali sarebbero i settori in cui sarà possibile utilizzare l’idrogeno?
«Mentre la business community è generalmente concorde sull’opportunità di utilizzare l’idrogeno in alcuni settori “hard to abate” quali il traffico aereo e navale, la chimica e la siderurgia, pareri contrastanti permangono sull’utilizzo dell’idrogeno come vettore energetico finale in alcuni settori che contribuiscono largamente alle emissioni di Co2, quali il trasporto su gomma ed il residenziale e servizi».
Quali prospettive per l’automotive?
«Su questi settori stiamo approfondendo le nostre analisi, ma i primi riscontri confermano l’elettricità green come vettore più efficiente per le auto, con una proiezione di circa 0,25 Dollari al km su percorrenze di 500 KM rispetto ai circa 0,30 dollari/km dell’idrogeno. Su tale scelta giocherà a favore della mobilità elettrica la readiness tecnologica ed infrastrutturale del settore, grazie agli importanti investimenti in corso da parte delle principali case automobilistiche. Anche per il riscaldamento domestico, le pompe di calore elettriche piuttosto che la cottura ad induzione presentano vantaggi significativi in virtù della loro alta efficienza, l’idrogeno verde potrebbe però diventare competitivo in futuro in climi molto freddi, su valori di costo di circa 2,5-3€/kgH2, mentre lo vediamo sfavorito alle nostre latitudini».