Tre scenari per le reti distributive automotive, dealer auto e rivenditori indipendenti, già falcidiate da una crisi di settore pluriennale. Per ripartire bisognerà adottare un format destrutturato, snello e concreto.
La pandemia COVID-19 si è abbattuta su un settore già fragile, quello dell’automotive, che dopo le crisi del 2007 e del 2012 aveva recuperato volumi e margini pur non essendo stato in grado di reinventare sé stesso né sviluppare nuovi modelli di business, più sostenibili e pronti ad affrontare una crisi di mercato. Il settore automotive vale ad oggi circa il 3% del PIL nazionale (senza contare altri business ad esso legati come ad esempio i carburanti); di questo solo una parte è data dalla distribuzione, che però rappresenta circa la metà del fatturato complessivo del comparto. Per questo è opportuno valutare con attenzione gli scenari che si prospettano per le reti distributive in un contesto post-emergenziale.
La distribuzione automobilistica italiana ha da sempre caratteristiche di unicità che la rendono profondamente diversa dalla distribuzione in altri Paesi europei o extra-europei: centinaia di concessionarie medie e piccole, fatturato medio contenuto, livelli di digitalizzazione ancora al minimo. Un modello di business che perpetua sé stesso da decenni senza sostanziali cambiamenti; solo le grandi concessionarie hanno consolidato la propria posizione, aumentando il margine e mantenendo un rendimento costante sull’investimento. “Il Centro Italia”, continua Matteo Luppi, Principal di Bain & Company, “è l’area geografica più a rischio dal momento che è la zona del Paese con la profittabilità più bassa ed il livello di indebitamento più elevato all’inizio della crisi. Le concessionarie del Centro infatti hanno un rapporto Debito Netto/EBITDA pari a 3,1 nel 2019, contro una media di 1,9 per le concessionarie del Nord”.“Per valutare l’impatto della pandemia abbiamo stimato la situazione al 2019 sulla base dell’evoluzione del mercato e di alcuni dati infra-annuali e da qui abbiamo ipotizzato tre scenari per gli anni 2020-2021, pur dovendo tener conto del fatto che probabilmente un recupero completo richiederà un numero maggiore di anni”, spiega Gianluca Di Loreto, Partner di Bain & Company. “Nel primo scenario, prevediamo una chiusura delle aziende per circa 2-3 mesi e un calo dei ricavi pari al 30% quest’anno, con parziale recupero già nel 2021. Lo scenario peggiore prevede la chiusura delle aziende per più di 5 mesi e un calo dei ricavi di almeno il 50% nel 2020, con un 2021 di inizio recupero, ma ancora molto critico. Tuttavia, lo scenario ad oggi più probabile mostra una chiusura di fatto di 2-3 mesi con in più una riapertura più lenta e progressiva (considerando che alla riapertura di maggio non è presumibile, date le caratteristiche della Fase 2, una corsa all’acquisto in concessionaria) e un calo dei ricavi di almeno il 40% nel 2020, con forti criticità anche nel 2021, che equivale a retrocedere il settore a livelli anche peggiori rispetto alle crisi del 2007 e del 2012. Questo scenario avrebbe un impatto devastante sulla maggioranza delle concessionarie, che tipicamente possono resistere senza fatturato – e quindi senza liquidità – solo pochi mesi. Prevediamo pertanto che, a queste condizioni e senza interventi, il 70% delle concessionarie finirà nel 2020 in una situazione critica”.
In poche settimane il mercato è crollato del 90% spingendo molte concessionarie nelle spire del default tecnico. Molti non sopravviveranno all’era post emergenziale, tuttavia tutti dovranno misurarsi con un nuovo modo di vendere le automobili, più sostenibile e forse completamente diverso. La pandemia imporrà, in pochi mesi, un cambiamento che gli operatori del settore non erano riusciti a realizzare (o non avevano voluto realizzare) in molti anni: immaginare un modo completamente nuovo di gestire la distribuzione auto.
La crisi legata al COVID-19 spingerà in direzione di modelli contrattuali più leggeri, meno stringenti. L’auto non potrà permettersi, causa anche gli investimenti in nuove tecnologie di lasciare troppi punti di margine sulla catena distributiva.
In sintesi, anche se la domanda di auto potrebbe non cambiare poi così tanto, l’offerta distributiva dovrà reinventare sé stessa, a partire dal flagship, immaginando un formato distributivo specifico che coniughi il prodotto ed i servizi con la sostenibilità. Poi, se fino ad oggi le Case Auto cercavano di controllare tutte le fasi della catena del valore, in questa nuova fase non potranno che focalizzarsi sul presidio dei soli snodi più critici per i Clienti, lasciando tutto il resto ad intermediari terzi, più agili.
Il nuovo scenario richiederà un format distributivo destrutturato: più snello e concreto. Il focus sulle auto come prodotto fisico si sposterà verso la gamma dei servizi offerti. La domanda quindi non sarà più “quante auto espongo in salone” ma piuttosto “quali servizi potrò offrire”. Infine, se le Case Auto e i dealer non potranno più fare investimenti a basso ritorno sul capitale (strutture pesanti e fuori moda) dovranno invece investire sulla digitalizzazione del modello distributivo.
“Nelle ultime settimane, aggiunge Gianluca Di Loreto, le Case Auto sono intervenute a sostegno delle proprie Reti, in gran parte rilassando i termini di pagamento e quindi dando un po’ di ossigeno alle proprie concessionarie. Sono interventi corretti e tempestivi, ma comunque temporanei. Che quindi non escludono un ripensamento, anche parziale, del modello distributivo per garantire una sostenibilità di lungo termine. In attesa di un assestamento delle abitudini di acquisto verso un “New Normal”; quanto quest’ultimo sarà diverso dal Pre-COVID, lo sapremo con certezza solo nei prossimi mesi.”