Ci sono volute 16 ore o più di trattative, ma i responsabili politici dell’Unione Europea mercoledì hanno raggiunto un accordo per porre fine alle vendite di nuovi veicoli a combustione entro il 2035. L’accordo lascia aperta una stretta scappatoia per permettere alle case automobilistiche di dimostrare, entro il 2026, che i carburanti sintetici “a zero emissioni” possono essere sviluppati in quantità da soddisfare il mercato della mobilità e utilizzati nei veicoli ibridi.
Interrogativi su una strategia post-combustione
Ci sarà un’infrastruttura di ricarica sufficiente? La rete elettrica sarà pronta? L’elettricità verrà prodotta da fonti rinnovabili? Le case automobilistiche saranno pronte ad assumere le nuove figure professionali richieste (programmatori, assemblatori di motori elettrici,..) con la stessa velocità con la quale scompariranno i posti di lavoro di chi assembla attualmente motori diesel o benzina?
A queste domande si aggiunge un altro interrogativo, forse il più grande. La produzione di batterie sarà sufficiente a coprire il mercato?
A prescindere dai dubbi, le case automobilistiche europee stanno accelerando gli investimenti per far fronte alla nuova era, spinte dal legislatore, dai clienti, dagli investitori e forse anche dalla voglia di prendere le distanze dagli scandali legati ai test sulle emissioni delle auto diesel.
Intanto, Stellantis ha annunciato i piani per convertire quella che un tempo era la più grande fabbrica di motori diesel del mondo in un centro di produzione di motori elettrici. Mercedes ha delineato i piani per convertire i suoi impianti di assemblaggio europei per la costruzione di veicoli elettrici e a combustione, in vista della transizione verso linee completamente elettriche entro il 2030.
Per raggiungere gli obiettivi estremamente ambiziosi di riduzione delle emissioni di CO2 concordati dai ministri europei dell’ambiente, l’Associazione dei produttori europei di automobili (ACEA) chiede un’azione drastica sulle infrastrutture di ricarica.
Le case automobilistiche europee, sottolinea la nota stampa ACEA, hanno abbracciato da tempo il passaggio all’elettromobilità e stanno trasformando radicalmente le loro attività per raggiungere gli obiettivi climatici dell’UE. Tuttavia, la chiave per raggiungere la meta non è solo nelle mani del settore: anche gli altri devono fare la loro parte.
E il tema è quello legato alle reti di ricarica, con la necessità di passare ad una rete europea di infrastrutture di ricarica e rifornimento, oltre che ottenere un accesso privilegiato alle materie prime necessarie per costruire le batterie.
“Per essere molto chiari: l’industria automobilistica contribuirà pienamente all’obiettivo di un’Europa a emissioni zero nel 2050. Ma la decisione del Consiglio solleva questioni significative a cui non è stata ancora data risposta, come ad esempio come l’Europa garantirà un accesso strategico al materie prime chiave per la mobilità elettrica”, ha affermato Oliver Zipse, Presidente ACEA e CEO di BMW.
“Se l’UE vuole essere un pioniere della mobilità sostenibile, la disponibilità di questi materiali deve essere garantita. In caso contrario, saremo minacciati da nuove dipendenze, poiché altre potenze economiche si sono già posizionate in una fase iniziale”.
“In futuro, l’apertura tecnologica significa che anche l’idrogeno e altri combustibili CO2 neutrali possono svolgere un ruolo importante nella decarbonizzazione del trasporto su strada”, ha aggiunto.