Deloitte: gli italiani vogliono più trasparenza sulla sostenibilità

In caso di greenwashing il 59% interrompe o limita gli acquisti.

Nove cittadini su 10 vogliono ridurre la propria impronta ecologica e più di nove consumatori su 10 apprezzano la trasparenza delle aziende rispetto alle strategie di sostenibilità, con un 78% che esprime maggiore fiducia verso aziende che condividono pubblicamente i propri obiettivi ESG. È quanto emerge dalla ricerca di Deloitte “Il Cittadino Consapevole: il valore del trust nelle scelte di consumo sostenibile”, il quarto report dell’Osservatorio Deloitte sui trend di sostenibilità e innovazione.

«Gli italiani», commenta Stefano Alfonso, Growth Leader di Deloitte Central Mediterranean, «sono sempre più attenti al tema della sostenibilità e la loro fiducia verso le aziende rappresenta un tema cruciale nel contesto di mercato attuale. Basata su responsabilità reciproca e consapevolezza ambientale, la relazione tra consumatori e brand non è solo un simbolo di autenticità e impegno verso un futuro sostenibile ma anche una chiave per il successo delle organizzazioni».

La sostenibilità crea fiducia nel consumatore, ma solo se c’è una chiara strategia ESG

La sostenibilità è un fattore chiave che plasma le intenzioni di acquisto dei consumatori. Sebbene il prezzo rimanga un aspetto fondamentale della fidelizzazione dei consumatori, l’impegno verso la sostenibilità ricopre un ruolo chiave nella costruzione di una solida relazione, come indicato da oltre il 40% del campione intervistato. Non è un caso che per il 71% dei cittadini, la fiducia in una marca si consolida se questa prende una posizione pubblica condivisa dal consumatore stesso rispetto a temi ESG e, per il 51% degli italiani, diminuirebbe se la posizione non fosse condivisa.

«In un momento storico di grande incertezza e complessità», spiega Alfonso,«la fiducia è indispensabile nella relazione tra un brand e i suoi clienti. Una marca in grado di ispirare fiducia sarà maggiormente in grado di creare relazioni stabili, durature, coinvolgenti e di valore per i propri clienti. In questo contesto, emerge la centralità della sostenibilità quale driver strategico per le aziende: infatti, queste non devono limitarsi alle sole dichiarazioni d’intenti, ma devono integrarla in modo organico nel proprio core business, ripensando la governance, i processi e la relazione con gli stakeholder».

Etichette, certificazioni e recensioni: ecco come i consumatori s’informano sulla sostenibilità

I prodotti o servizi sostenibili sono sempre più diffusi nel paniere degli italiani. Negli ultimi sei mesi, poco più della metà degli intervistati ha dichiarato di averli acquistati e, rispetto all’anno precedente, la tendenza è in aumento secondo il 75%. Inoltre, oltre due terzi di chi non ha effettuato acquisti green dichiara che in futuro almeno li prenderà in considerazione.

I consumatori italiani utilizzano un ampio set di canali e strumenti per reperire informazioni sulla sostenibilità del prodotto o del servizio da acquistare. Per quasi il 60% dei consumatori la principale fonte informativa è l’etichetta, seguita dalle certificazioni (52%). Accanto a queste, ci sono poi i canali aziendali ufficiali (32%), le recensioni online su siti specializzati (32%), l’opinione di esperti in materia (29%) e i media tradizionali (27%).

Greenwashing: con l’ambientalismo di facciata il 59% dei consumatori interrompe o limita gli acquisti

Un fenomeno che incide sul rapporto di fiducia tra brand e consumatori è il greenwashing, che, secondo gli intervistati, viene sperimentato attraverso l’omissione di informazioni rilevanti sulle caratteristiche sostenibili del prodotto o servizio (30%), l’enfatizzazione di una singola e non cruciale caratteristica sostenibile (26%), l’uso di un linguaggio vago e approssimativo nella descrizione del prodotto o servizio (24%) e l’impiego di termini che facciano presupporre l’esistenza di una certificazione (24%). In particolare, i settori più esposti a questo fenomeno sono quelli dei beni di consumo, con percentuali più elevate nel comparto alimentare (29%) e moda (15%).

La maggior parte dei casi di greenwashing viene identificata attraverso la ricerca online (35%) o sui social media (26%). Altri canali includono il parere di esperti (24%), il supporto di Ong (21%) o associazioni di categoria (20%) e media tradizionali (20%).

In caso di esperienze di “ambientalismo di facciata”, il 17% dei consumatori italiani interromperebbe l’acquisto e la fruizione di prodotti e servizi dall’azienda, un ulteriore 42% limiterebbe gli acquisti futuri della marca. Inoltre, le aziende devono tenere in considerazione le conseguenze negative derivanti da recensioni (38%) e passaparola negativi (36%), azioni di tutela da parte di associazioni di categoria (29%), lamentele attraverso il servizio clienti (29%), restituzione di prodotti (26%) o richieste di risarcimento (21%).

Tutelare il consumatore per rafforzare la fiducia: più della metà pensa di non essere tutelato

La tutela, la protezione e l’educazione del consumatore sono temi di fondamentale importanza. Ad oggi, più di un italiano su 2 (55%) si dichiara poco o per nulla tutelato dalla crescente diffusione del greenwashing. La responsabilità per una maggiore tutela non è in capo a un unico soggetto, ma è condivisa tra una pluralità di soggetti, ciascuno responsabile del proprio perimetro di competenza: aziende (55%), istituzioni nazionali (Governo, 28%; autorità amministrative indipendenti con funzione di tutela, 26%) e sovranazionali (UE, 26%). In particolare, gli italiani vorrebbero una maggiore protezione da parte dei brand e del Governo: infatti, meno di un rispondente su 5 esprime soddisfazione sul loro contributo alla lotta al greenwashing.

«Secondo i cittadini italiani, sono tre le principali aree d’intervento su cui il Governo e le istituzioni nazionali dovrebbero agire per contrastare il fenomeno del greenwashing e garantire una miglior tutela del consumatore finale», commenta Alfonso. «In primo luogo, attraverso un impianto normativo efficace e aggiornato che tuteli e incentivi scelte d’acquisto consapevoli. In secondo luogo, attraverso una comunicazione più efficace e una maggiore educazione sul tema del greenwashing, nonché sugli strumenti disponibili a tutela. Infine, attraverso una crescente responsabilizzazione delle aziende, fondata sulle tecnologie digitali, rendendo le loro affermazioni sulla sostenibilità non solo verificabili ma anche vincolanti”, conclude Alfonso.