Durante la recente COP di Dubai, si è segnato un evento storico: per la prima volta in 28 anni di conferenze ONU sul cambiamento climatico, tutti i combustibili fossili sono stati esplicitamente menzionati negli accordi finali, superando l’opposizione dei principali produttori di petrolio. Sebbene considerato un successo parziale, l’accordo è frutto di compromessi e distante dagli interventi decisi richiesti da paesi vulnerabili e attivisti. Al Gore ha definito l’esito come il “minimo indispensabile” per affrontare la crisi climatica. Il documento chiave approvato, il “Global Stocktake“, riassume i progressi nella riduzione delle emissioni e le nuove intenzioni dei paesi dell’ONU, pur non avendo vincoli legali, influenzando investimenti e politiche nazionali.
Tuttavia, l’accordo COP28 è criticato per la sua formulazione vaga, permettendo alle nazioni di adottare “diversi percorsi” e “approcci” alla transizione. Al di là del focus sui combustibili fossili, il documento incentiva anche a triplicare la produzione di energia da fonti rinnovabili entro il 2030 e a “ridurre sostanzialmente” le emissioni di metano entro la stessa data, senza specificare obiettivi quantitativi. La riduzione graduale delle centrali a carbone senza impianti di cattura e sequestro delle emissioni è menzionata, ma la proposta di vietare nuove centrali a carbone senza tali impianti è stata eliminata su richiesta di Cina e India.
L’Arabia Saudita ha ottenuto il riferimento ai sistemi di cattura e sequestro dell’anidride carbonica nell’industria petrolifera, nonostante siano considerati costosi e poco efficaci dai ricercatori. L’accordo promuove l'”accelerazione” di tali tecnologie. L’uso di “combustibili a basso impatto di emissioni” è menzionato, suscitando preoccupazioni tra gli ambientalisti in quanto potrebbe includere il gas naturale.
Nonostante questi progressi, le COP rimangono conferenze senza un impatto diretto sulle azioni nazionali. In passato, alcuni paesi europei hanno investito in infrastrutture per il gas naturale nonostante le richieste di riduzione dei combustibili fossili. La COP28 ha istituito il fondo “loss and damage,” ma le promesse attuali ammontano solo a 700 milioni di dollari, molto lontane dai 400 miliardi stimati necessari ogni anno secondo la Loss and Damage Collaboration.
Tuttavia, dopo intense discussioni durate due settimane al vertice delle Nazioni Unite sul clima a Dubai, i rappresentanti di quasi 200 Paesi hanno finalmente approvato un accordo globale.
Questo ampio patto giunge in un periodo caratterizzato dal record di temperature più elevate mai registrate. I leader europei e molte delle nazioni più esposte ai disastri climatici hanno strenuamente sostenuto un linguaggio che chiedeva una completa “eliminazione graduale” dei combustibili fossili. La proposta però ha incontrato una dura opposizione da parte dei principali esportatori di petrolio, come l’Arabia Saudita e l’Iraq, oltre che da Paesi in rapida crescita come l’India e la Nigeria.
Il lavoro di diplomazia ha anche portato nazioni come la Cina, l’Arabia Saudita e la Russia, storicamente ferme sulla loro posizione riguardo l’uso dei combustibili fossili a rivedere le posizioni al fine di trovare un accordo.
Alla fine, come anticipato, i negoziatori hanno raggiunto un compromesso: il nuovo accordo sollecita i Paesi ad accelerare la transizione globale dai combustibili fossili entro questo decennio, adottando un approccio “giusto, ordinato ed equo”, e a cessare l’emissione di anidride carbonica nell’atmosfera entro la metà del secolo. Inoltre, si invita le nazioni a triplicare la quantità di energia rinnovabile, come quella eolica e solare, installata nel mondo entro il 2030, e a ridurre le emissioni di metano.
Cosa vuol dire concretamente “transition away” dai combustibili fossili entro il 2050
Significa passare dalla situazione attuale energy mix che vede l’energia mondiale provenire al 25% da energia rinnovabile e nucleare e al 75% da energie fossili, equamente divise tra gas, petrolio e carbone, ad uno scenario in cui il 50% dell’energia sarà sotto forma di elettricità rinnovabile per alimentare ad esempio auto elettriche e per il 50% combustibili non fossili come gli e-fuel e biocarburanti.