A quale domanda di mercato, o meglio a quali bisogni, risponde l'industria automobilistica?

Nella società moderna l’auto pare non rappresenti più una necessità, ma un prodotto di sfizio, uno strumento per apparire, un mezzo che alla funzione primaria del trasporto aggiunge quella del piacere e del lusso, da usare non solo per lavoro e spostarsi, ma anche e soprattutto per coltivare relazioni sociali e per il tempo libero.

A quale domanda di mercato, o meglio a quali bisogni, risponde l'industria automobilistica

L’industria automobilistica, che conosce gusti e tendenze della società, ha assecondato questa inclinazione, anzi l’ha innescata e incoraggiata, spingendo l’acquirente a demolizioni, spesso non dettate da necessità, a sostituzioni, con facilitazioni anche nei pagamenti, per acquisire nuovi e più prestigiosi modelli in una corsa che ha messo in crisi, talvolta, l’economia delle famiglie.

Solo un terzo delle auto, pare siano state comprate per coprire necessità primarie dei soggetti. Gli altri acquisti hanno soddisfatto esigenze ben diverse. Fin qui. O fino a qualche anno fa, perché la crisi economica, tutt’ora in atto, ha messo in bilico anche il settore auto con il calo delle vendite perché le persone, finalmente, hanno preso coscienza del periodo difficile da attraversare e che mantenere in vita la vecchia automobile appariva la scelta più saggia. Quale la conseguenza di tutto ciò?

Che le case automobilistiche si sono ritrovate con un surplus di produzione, che avevano sfornato, inseguendo un trend basato sull’effimero, che non sono riuscite più a smaltire secondo i desiderata. Uno sbilanciamento in avanti di cui le case di produzione sarebbero, secondo taluni, da ritenersi responsabili. Da qui discende una sospensiva di giudizio sulla necessità e opportunità della concessione di contributi da parte dello Stato. Forse alle stesse, infatti, in futuro, tornerebbe più utile la detassazione del capitale reinvestito e la diminuzione della pressione fiscale e non più aiuti che consentirebbero la ripresa, ma sempre nell’ottica di un intervento fine a sé stesso.

Pare comunque che, passata in parte la tempesta, le industrie automobilistiche abbiano capito che, dopo lo smaltimento delle rimanenze, si renderà necessario cambiare strategia e tipologia di offerta e immettere sul mercato auto ibride ed elettriche che hanno il pregio di non inquinare l’ambiente e, per questo, si offrono al cliente con una motivazione seria che ne giustifica l’acquisto.

Tale disegno è stato suggerito anche dall’Unione Europea. E’ notizia di qualche giorno fa, infatti, la pubblicazione della strategia europea che vuole incoraggiare lo sviluppo e la diffusione di veicoli puliti ed efficienti sul piano energetico, intendendo così aiutare l’industria automobilistica europea a rafforzare, su scala globale, il suo ruolo guida impostando la sua produzione su tecnologie ad alta efficienza energetica.

Tuttavia, sempre secondo quanto pubblicato sul sito dell’Unione Europea, nella prospettiva a lungo termine, che fa riferimento al 2020, i veicoli convenzionali rimarranno prevedibilmente lo strumento dominante della mobilità, ma parallelamente si assisterà a una rapida espansione dei veicoli elettrici. Entro il 2030 il parco automobilistico globale dovrebbe passare da 800 milioni a 1,6 miliardi di veicoli, per arrivare entro il 2050 a 2,5 miliardi di veicoli. Il tutto accompagnato da una carenza crescente di risorse energetiche i cui costi sono destinati ad aumentare. Queste tendenze devono essere affrontate con un cambiamento radicale nella tecnologia per assicurare la sostenibilità della mobilità nel lungo termine. I gruppi propulsori elettrici, a emissioni di carbonio estremamente basse e le pile a combustibile alimentate a idrogeno, sono le opzioni più promettenti al riguardo.

Immagine tratta da getmaverick.com

Rispondi